
Contrariamente a quanto si pensa, il burnout non è un fallimento nella gestione dello stress, ma il punto di rottura fisiologico di un sistema sovraccarico.
- I sintomi fisici come insonnia e dolori non sono debolezze, ma dati clinici che anticipano il crollo emotivo.
- Soluzioni rapide come stimolanti o iper-connessione mascherano il problema, aumentando il carico allostatico e accelerando l’esaurimento.
Raccomandazione: Imparare a decodificare questi segnali e adottare strategie protettive (assertività, decompressione) è l’unica via per intervenire prima che sia troppo tardi, trasformando la gestione dello stress da reattiva a predittiva.
Quella sensazione di sfinimento che ti accompagna, quella fatica cronica che nemmeno il weekend riesce più a scalfire. Come manager o quadro aziendale, probabilmente la interpreti come il prezzo da pagare per la performance, una fase transitoria da superare stringendo i denti. Sei abituato a gestire la pressione, a trovare soluzioni, a essere il punto di riferimento. Eppure, l’ansia che sale la domenica sera e i dolori cervicali che non ti abbandonano non sono semplici effetti collaterali del successo, ma i primi, inequivocabili, segnali di un sistema che si sta avvicinando al punto di rottura.
Il dibattito comune si concentra su concetti come “work-life balance” o generici consigli per la “gestione dello stress”, trattando il burnout come un problema di organizzazione personale o di scarsa resilienza. Si parla di fare più pause, di mangiare sano, di dormire di più. Consigli validi, ma che per un professionista sottoposto a pressioni sistemiche e a un’iper-responsabilizzazione costante, suonano come un’ulteriore voce sulla lista di cose da fare, un altro ambito in cui si rischia di fallire.
Ma se la vera chiave non fosse “gestire” meglio lo stress, ma imparare a leggerlo come un clinico legge un referto? Se il burnout non fosse un fallimento della volontà, ma il crollo fisiologico e psicologico prevedibile di un organismo sottoposto a un carico allostatico insostenibile? Questo articolo adotta una prospettiva diversa: non ti darà l’ennesima lista di consigli generici, ma ti fornirà una griglia di lettura per decodificare i micro-segnali somatici e comportamentali che il tuo corpo ti invia. L’obiettivo è trasformarti da vittima passiva dello stress a osservatore attivo e consapevole del tuo stato, per poter intervenire in modo strategico prima che il crollo diventi inevitabile.
Analizzeremo insieme perché soffri di specifici sintomi fisici, come integrare pratiche di decompressione efficaci nella tua fitta agenda, a quale professionista rivolgerti, quali errori evitare e come implementare strategie concrete di autotutela. Questo non è un manuale di sopravvivenza, ma un protocollo di prevenzione attiva.
Sommario: Una guida clinica per interpretare e prevenire lo stress da lavoro correlato
- Perché soffri di insonnia e dolori cervicali ogni domenica sera?
- Come praticare la mindfulness in ufficio in 5 minuti tra una riunione e l’altra?
- Psicologo o Business Coach: a chi rivolgersi quando l’ansia blocca la carriera?
- L’errore di affidarsi a stimolanti o sonniferi per gestire i ritmi lavorativi insostenibili
- Quando dire “no” al capo: le strategie assertive per proteggere la propria salute mentale
- La trappola della solitudine domestica che porta all’overworking non retribuito
- Perché spegnere il telefono per 3 giorni in natura riduce i livelli di cortisolo del 25%?
- Allenarsi a casa senza attrezzi: il programma di 20 minuti per chi ha poco tempo e spazio
Perché soffri di insonnia e dolori cervicali ogni domenica sera?
La domenica sera, anziché sentirti riposato, avverti un’inquietudine crescente, insonnia e tensioni muscolari, soprattutto a livello di collo e spalle. Non è una coincidenza, né un segno di debolezza. È un fenomeno clinico preciso, noto come “ansia della domenica” o “Sunday Scaries”, un sintomo somatico premonitore che il tuo sistema nervoso sta anticipando il carico di stress della settimana imminente. Milioni di persone ne soffrono, ma per i ruoli ad alta responsabilità, questo segnale è un campanello d’allarme cruciale del burnout incipiente.
Dal punto di vista psicofisiologico, il tuo corpo non distingue tra una minaccia reale (un pericolo fisico) e una minaccia percepita (una settimana di scadenze, riunioni complesse, decisioni difficili). In entrambi i casi, attiva la risposta di “lotta o fuga”, rilasciando ormoni dello stress come il cortisolo e l’adrenalina. Quando questa attivazione diventa cronica, come in un ambiente lavorativo iper-competitivo, il sistema non ha più il tempo di tornare a uno stato di riposo. L’insonnia della domenica è il risultato di un sistema nervoso che rimane in uno stato di iper-vigilanza (iperarousal), incapace di “spegnersi” in previsione delle sfide future.
I dolori cervicali, d’altra parte, sono la manifestazione fisica di questa tensione. I muscoli del collo e delle spalle sono tra i primi a contrarsi involontariamente in risposta allo stress. Una tensione prolungata porta a rigidità, dolore e, in molti casi, a cefalee tensive. Considera questi sintomi non come fastidi da ignorare, ma come dati oggettivi: il tuo corpo sta comunicando che il “carico allostatico” – il prezzo che paga per adattarsi costantemente allo stress – sta diventando eccessivo. Ignorarli significa permettere al processo di esaurimento di avanzare indisturbato verso stadi più gravi.
Piano d’azione per disinnescare l’ansia della domenica
- Pianificazione protettiva: Dedica 30 minuti il venerdì pomeriggio per definire le 3 priorità assolute della settimana successiva. Questo riduce l’incertezza e la sensazione di essere sopraffatto.
- Rituale di decompressione: Crea una routine serale per la domenica che segnali al tuo cervello che il weekend non è ancora finito. Può includere una passeggiata, un bagno caldo, la lettura di un libro non lavorativo o l’ascolto di musica.
- Blackout digitale: Imposta una regola ferrea: niente email di lavoro o chat professionali dopo le 18:00 della domenica. Questo crea un confine netto e protegge il tuo spazio mentale.
- Respirazione diaframmatica: Prima di dormire, pratica per 5-10 minuti la respirazione diaframmatica (respirare “con la pancia”). Questa tecnica attiva il nervo vago e induce una risposta di rilassamento, contrastando l’iper-vigilanza.
- Attività fisica rigenerante: Una camminata veloce o una sessione di stretching leggero nel pomeriggio di domenica aiuta a rilasciare endorfine e a sciogliere le tensioni muscolari accumulate.
Come praticare la mindfulness in ufficio in 5 minuti tra una riunione e l’altra?
La mindfulness non è una pratica esoterica che richiede un’ora di meditazione su un cuscino. Per un professionista impegnato, va concepita come un allenamento mentale, una serie di “micro-pratiche” di decompressione fisiologica da inserire nei momenti interstiziali della giornata lavorativa. L’obiettivo non è svuotare la mente, ma ancorare l’attenzione al momento presente, interrompendo il ciclo del rimuginio su passato e futuro che alimenta lo stress cronico. Bastano pochi minuti per ridurre l’attivazione del sistema nervoso simpatico e riprendere il controllo.
La sua efficacia è stata dimostrata anche in contesti ad altissimo stress. Un esempio è il protocollo IARA, testato su professionisti sanitari, che ha portato a riduzioni significative delle difficoltà emotive e dell’ansia. La formazione si basava su esercizi di mindfulness focalizzati sulla respirazione e sull’osservazione non giudicante dei pensieri, migliorando la capacità di restare nel “qui ed ora”. Questo dimostra che non è la durata, ma la costanza e l’intenzione della pratica a fare la differenza.

L’integrazione di queste pratiche non richiede di stravolgere la propria agenda, ma di sfruttare le micro-pause che già esistono. Come suggeriscono gli esperti di BeMindfulToday.it nella loro guida sulla gestione dello stress lavorativo, le opportunità sono ovunque.
Un addetto al customer service può praticare un minuto di respiro consapevole tra una chiamata e l’altra. Un infermiere può fare un breve body scan mentre si sposta da un reparto all’altro. Un impiegato di banca può portare attenzione al respiro durante i brevi momenti di attesa tra un cliente e l’altro.
– BeMindfulToday.it, Gestione Stress Lavoro: Tecniche Mindfulness Pratiche
Ecco tre tecniche pratiche da sperimentare subito:
- Respiro in 3 fasi (1 minuto): Tra una call e l’altra, chiudi gli occhi. Inspira profondamente contando fino a 4, trattieni il respiro contando fino a 4, ed espira lentamente contando fino a 6. Ripeti per 3-4 volte. L’espirazione più lunga attiva la risposta di rilassamento.
- Ancoraggio ai 5 sensi (2 minuti): Alla tua scrivania, prenditi una pausa e nota consapevolmente: 5 cose che puoi vedere, 4 cose che puoi sentire al tatto (la sedia, il tavolo), 3 suoni che puoi udire, 2 odori che puoi percepire, 1 sapore che puoi gustare (anche solo un sorso d’acqua). Questo esercizio riporta bruscamente l’attenzione al presente.
- Camminata consapevole (5 minuti): Quando vai a prendere un caffè o in bagno, invece di pensare alla prossima riunione, porta l’attenzione alle sensazioni fisiche del camminare: il contatto dei piedi con il suolo, il movimento delle braccia, il ritmo del respiro.
Psicologo o Business Coach: a chi rivolgersi quando l’ansia blocca la carriera?
Quando l’ansia, la demotivazione e la sensazione di essere bloccati iniziano a impattare non solo il benessere personale ma anche la performance e le prospettive di carriera, sorge una domanda cruciale: ho bisogno di uno psicologo o di un business coach? Per un manager, la cui identità è spesso legata al ruolo professionale, la confusione è legittima. La risposta, tuttavia, risiede nella natura del problema, non nel contesto in cui si manifesta. È fondamentale comprendere che si tratta di due professioni con finalità, competenze e ambiti di intervento nettamente distinti, soprattutto nel contesto regolamentato italiano.
Lo psicologo è un professionista sanitario la cui attività è regolamentata per legge. Il suo intervento è di natura clinica: si occupa della diagnosi, del supporto e della cura di disagi psicologici, disturbi d’ansia, depressione e condizioni complesse come il burnout clinicamente significativo. Il suo obiettivo è lavorare sulle cause profonde del malessere, aiutando la persona a comprendere e modificare pattern di pensiero e comportamento disfunzionali che generano sofferenza. Un percorso psicologico mira a ripristinare un equilibrio psicofisico e a fornire strumenti per gestire la sofferenza emotiva.
Il Business Coach, invece, non è una professione sanitaria e non ha un albo di riferimento in Italia. Il suo focus è sulla performance e sul raggiungimento di obiettivi professionali specifici. Lavora sul presente e sul futuro, aiutando il cliente a sbloccare il proprio potenziale, a migliorare le competenze (es. leadership, comunicazione) e a definire una strategia di carriera. Il coach non fa diagnosi né tratta patologie; parte dal presupposto che il cliente sia una persona funzionale che desidera ottimizzare i propri risultati.
La scelta, quindi, dipende da una onesta auto-valutazione. Se il problema è una sensazione pervasiva di ansia, esaurimento emotivo, perdita di senso e sintomi fisici correlati (come quelli visti in precedenza), la figura di riferimento è lo psicologo. Se, invece, il benessere psicologico è stabile ma si desidera accelerare la crescita professionale o superare un ostacolo specifico di performance, il business coach può essere la scelta giusta. Affidarsi a un coach per trattare un disturbo d’ansia o un burnout è non solo inefficace, ma potenzialmente dannoso.
Per fare chiarezza, un’analisi comparativa recente offre una sintesi delle differenze chiave nel contesto italiano.
| Aspetto | Psicologo | Business Coach |
|---|---|---|
| Regolamentazione | Professione sanitaria regolamentata, iscrizione all’Albo obbligatoria | Non regolamentata, nessun albo professionale |
| Formazione | Laurea + esame di stato + iscrizione Ordine | Variabile, certificazioni private |
| Ambito intervento | Disturbi psicologici, ansia, depressione, burnout | Performance, obiettivi professionali, sviluppo carriera |
| Detrazioni fiscali | Spese sanitarie detraibili al 19% | Non detraibili |
| Accesso SSN | Possibile con impegnativa, Bonus Psicologo quando attivo | Solo privato |
L’errore di affidarsi a stimolanti o sonniferi per gestire i ritmi lavorativi insostenibili
Di fronte a una stanchezza che non dà tregua e a una mente che non riesce a “staccare”, la tentazione di ricorrere a “soluzioni rapide” è forte. Il caffè in più per reggere la giornata, l’aperitivo serale per “scaricare” la tensione, l’integratore per la concentrazione o, nei casi più seri, il sonnifero per forzare il riposo. Queste strategie, apparentemente logiche, rappresentano uno degli errori più pericolosi nel percorso verso il burnout. Non risolvono il problema, ma lo mascherano, creando un circolo vizioso che indebolisce ulteriormente il sistema psicofisico e può portare a vere e proprie dipendenze.
Questi palliativi agiscono come un “prestito di energia” dal futuro. Gli stimolanti (come la caffeina in eccesso) forzano il sistema nervoso a rimanere in uno stato di allerta, consumando le riserve residue e aumentando i livelli di cortisolo. I sedativi (come l’alcol o i sonniferi) non inducono un sonno ristoratore, ma uno stato di sedazione che non permette al cervello di completare i cicli di sonno profondo necessari per il recupero fisico e mentale. Il risultato è un risveglio ancora più faticoso, che richiede a sua volta un nuovo stimolante, in una spirale discendente.
Come avverte la Dott.ssa Agnese Rossi, psicoterapeuta presso Humanitas Gavazzeni, è cruciale non cadere in questa trappola.
Limitare l’utilizzo di soluzioni ‘rapide’ allo stress come l’alcol, la nicotina o l’uso di droghe o ogni forma di abuso, che rischia di diventare una vera e propria dipendenza.
– Agnese Rossi, Psicoterapeuta, Humanitas Gavazzeni Bergamo
Il problema è sistemico e in crescita. Recenti dati INAIL, analizzati in un report di UnoBravo, mostrano un aumento del +17,9% nel primo trimestre 2024 delle denunce di malattie professionali legate a disturbi psichici e comportamentali. Questo dato conferma che il burnout non è più un problema isolato, ma una condizione diffusa che richiede interventi strutturali e non soluzioni farmacologiche o comportamentali di facciata. La vera soluzione non è trovare un modo per “reggere” ritmi insostenibili, ma agire sulle cause, che includono la ridefinizione dei carichi di lavoro e l’adozione di strategie di recupero autentiche.
- Esercizio fisico: Anche una semplice passeggiata all’aria aperta in pausa pranzo aiuta a regolare gli ormoni dello stress in modo naturale.
- Alimentazione corretta: Evitare picchi glicemici con pasti bilanciati fornisce energia stabile, a differenza dei picchi e crolli dati da zuccheri e caffeina.
- Pausa post-pranzo: Sostituire il quinto caffè con 10 minuti di “digestione consapevole”, magari guardando fuori dalla finestra, permette un reale stacco mentale.
- Relazioni sociali: Coltivare legami interpersonali gratificanti fuori dal lavoro è un potente antidoto all’esaurimento, in quanto attiva circuiti cerebrali legati al benessere e riduce l’ossessione lavorativa.
Quando dire “no” al capo: le strategie assertive per proteggere la propria salute mentale
Per un manager, “dire di no” a una richiesta del capo o a un carico di lavoro aggiuntivo può sembrare un tabù, un atto di insubordinazione o un’ammissione di incapacità. Questa percezione, profondamente radicata nella cultura aziendale della performance a tutti i costi, è una delle principali barriere alla prevenzione del burnout. Imparare a porre dei limiti in modo assertivo non è un segno di debolezza, ma una competenza strategica fondamentale per la propria sopravvivenza professionale e per la tutela della salute mentale.
L’assertività non è aggressività. Non significa dire “no” in modo conflittuale, ma comunicare i propri limiti in modo chiaro, calmo e costruttivo. Si tratta di proteggere il proprio tempo e le proprie energie per poterli dedicare alle attività a più alto valore, garantendo così una performance sostenibile nel lungo periodo. Un “sì” detto per compiacere, quando si è già al limite, porta inevitabilmente a un lavoro di qualità inferiore, a ritardi e, in ultima analisi, a un aumento dello stress per tutti.
Spesso, l’incapacità di dire “no” è legata a un bisogno profondo di riconoscimento. Si accetta tutto per dimostrare il proprio valore e la propria dedizione. Tuttavia, come emerge da un’analisi sul burnout, questo meccanismo è controproducente. In Italia, il 39% dei lavoratori cita la mancanza di riconoscimento come causa principale di stress. Il vero riconoscimento non deriva dal sovraccaricarsi, ma dall’essere visti, rispettati e apprezzati per la qualità e la sostenibilità del proprio contributo. Un “no” ben argomentato può, paradossalmente, aumentare la percezione del proprio valore professionale.
Il Policlinico di Milano, in un articolo dedicato al tema, è molto chiaro su questo punto: la capacità di stabilire limiti è un pilastro della sopravvivenza lavorativa.
Stabilisci il limite: cerca di non sovraccaricarti di lavoro e impara a dire no quando necessario.
– Policlinico di Milano, Effetto burnout: come sopravvivere a stress e stanchezza
Ecco alcune strategie di “no costruttivo”:
- La tecnica del “Sì, e…”: Invece di un “no” secco, rispondi: “Sì, posso occuparmi di questo progetto. Per farlo al meglio, avrò bisogno di posticipare la scadenza X o di delegare l’attività Y. Qual è la priorità?”. Questo trasforma il “no” in una negoziazione sulle priorità.
- Offrire un’alternativa: “Al momento sono completamente assorbito dal progetto Z fino a venerdì. Posso dedicarmi a questa nuova richiesta a partire da lunedì prossimo, oppure potrebbe occuparsene il collega X che ha più margine?”.
- Chiedere tempo: “Grazie per aver pensato a me. Ho bisogno di guardare la mia agenda per capire come integrare al meglio questa attività. Posso darti una risposta tra un’ora?”. Questo evita una risposta impulsiva e permette una valutazione ponderata.
La trappola della solitudine domestica che porta all’overworking non retribuito
Lo smart working, inizialmente salutato come la soluzione per un migliore equilibrio vita-lavoro, ha rivelato un lato oscuro per molti professionisti: la trappola della solitudine e la progressiva erosione dei confini. Lavorare da casa, soprattutto per ruoli manageriali che richiedono alta concentrazione e responsabilità, può trasformare l’ambiente domestico in un ufficio senza orari, dove la giornata lavorativa non finisce mai. Questo fenomeno è uno dei principali acceleratori del burnout nell’era post-pandemica.
La solitudine dello smart worker non è solo la mancanza di interazioni sociali con i colleghi. È una solitudine più profonda, legata alla sparizione dei “riti di passaggio” che scandivano la giornata: il tragitto casa-lavoro, la pausa caffè, il pranzo fuori. Questi momenti, apparentemente banali, fungevano da cuscinetto, creando una separazione fisica e mentale tra la sfera privata e quella professionale. Senza di essi, il confine diventa poroso: il tavolo della cucina è anche una scrivania, il laptop è sempre a portata di mano, e l’ultima email della sera si controlla dal divano. Questo stato di “always on” porta inevitabilmente a un overworking non retribuito e a un esaurimento costante delle energie mentali.

La situazione in Italia è particolarmente critica. Uno studio recente rivela che il 70% dei lavoratori italiani è alle prese con stress e burnout, e la diffusione del lavoro da remoto ha esacerbato questa condizione per molti. La mancanza di un ambiente di lavoro strutturato e la ridotta visibilità del proprio operato possono generare ansia da prestazione, spingendo a lavorare di più per dimostrare la propria produttività. È un circolo vizioso in cui l’isolamento alimenta l’overworking, che a sua volta aumenta la sensazione di stress e solitudine.
Per spezzare questa spirale, è essenziale ricostruire artificialmente i confini e i rituali che il lavoro in presenza garantiva.
- Definire uno spazio sacro: Adibire un angolo della casa esclusivamente al lavoro. A fine giornata, chiudere il laptop e lasciare fisicamente quello spazio.
- Creare un “tragitto fittizio”: Iniziare e finire la giornata lavorativa con una breve passeggiata di 15 minuti intorno all’isolato. Questo simula il tragitto casa-lavoro e aiuta il cervello a “cambiare modalità”.
- Pianificare interazioni sociali: Non aspettare che accadano. Organizzare attivamente pranzi, caffè o aperitivi con colleghi e amici. Considerarli come impegni di lavoro irrinunciabili per il proprio benessere.
- Stabilire orari di disconnessione: Impostare un orario preciso in cui si smette di controllare email e chat di lavoro, e comunicarlo al team. Ad esempio: “Non rispondo a comunicazioni dopo le 19:00, salvo urgenze reali”.
Perché spegnere il telefono per 3 giorni in natura riduce i livelli di cortisolo del 25%?
In un mondo iper-connesso che richiede una disponibilità costante, l’idea di spegnere completamente il telefono per tre giorni può sembrare un lusso irraggiungibile o persino un atto irresponsabile. In realtà, dal punto di vista neurobiologico, è una delle forme più potenti di “decompressione fisiologica” a nostra disposizione. Il “digital detox”, specialmente se combinato con l’immersione nella natura, non è una semplice vacanza, ma un intervento terapeutico mirato a resettare un sistema nervoso sovraccarico.
Il nostro cervello è costantemente bombardato da notifiche, email e flussi di informazioni che mantengono attivo il sistema di allerta. Questa sovrastimolazione cronica tiene i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, costantemente elevati. Alti livelli di cortisolo a lungo termine sono associati a una vasta gamma di problemi: disturbi del sonno, ansia, difficoltà di concentrazione, aumento di peso e indebolimento del sistema immunitario. L’esposizione alla natura, al contrario, ha un effetto diretto e misurabile sulla riduzione dello stress. Pratiche come il “forest bathing” (shinrin-yoku) hanno dimostrato di abbassare la pressione sanguigna, ridurre la frequenza cardiaca e, appunto, diminuire i livelli di cortisolo.
Un’esperienza come un “digital detox” nelle Dolomiti, ad esempio, non è solo un’occasione per ammirare paesaggi mozzafiato, ma un vero e proprio programma di disintossicazione. Lontano dalla frenesia cittadina e dalla tirannia delle notifiche, il corpo si risintonizza su ritmi più lenti e naturali. Questo permette al sistema nervoso parasimpatico (la parte responsabile del “riposo e digestione”) di riprendere il sopravvento, avviando i processi di recupero e riparazione che lo stress cronico inibisce. Come sottolinea un articolo de Il Messaggero, l’effetto è tangibile.
Trascorrere del tempo nella natura riduce i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, e migliora l’umore.
– Il Messaggero, Benessere fisico e mentale, la scelta digital detox della Toscana
Anche se tre giorni completi possono essere difficili da organizzare, l’Italia offre numerose opzioni per weekend o brevi soggiorni di disconnessione, pensati appositamente per professionisti stressati:
- Chalet Silenthia in Val di Concei (Trentino): Offre weekend senza Wi-Fi e TV, con un programma basato su yoga, passeggiate e silenzio.
- Casale Pundarika in Toscana: Un rifugio immerso nella foresta mediterranea, ideale per ritiri di meditazione e yoga.
- Eremito in Umbria: Un antico monastero trasformato in un hotel unico nel suo genere, dove la disconnessione è la regola principale per ritrovare l’armonia interiore.
- Case da Mont nelle Valli Giudicarie: Baite isolate nel bosco per chi cerca un’esperienza di solitudine e contatto autentico con la natura.
Da ricordare
- I sintomi fisici (insonnia, dolori, stanchezza) non sono debolezze, ma dati clinici che segnalano un sovraccarico del sistema e vanno ascoltati.
- Le “soluzioni rapide” come stimolanti, alcol o iper-connessione mascherano il problema, peggiorando il carico allostatico e accelerando il percorso verso il burnout.
- Strategie protettive come l’assertività, le micro-pause di mindfulness e la decompressione fisica (natura, sport) sono interventi preventivi essenziali, non optional.
Allenarsi a casa senza attrezzi: il programma di 20 minuti per chi ha poco tempo e spazio
Per un manager con un’agenda fitta di impegni, l’idea di trovare un’ora per andare in palestra è spesso irrealistica e diventa un’ulteriore fonte di stress. Tuttavia, l’attività fisica è uno degli strumenti più efficaci e rapidi per contrastare gli effetti fisiologici dello stress cronico. La soluzione non è trovare più tempo, ma usare il poco tempo a disposizione in modo più intelligente. L’allenamento ad alta intensità a intervalli (HIIT) è una metodologia perfetta per questo scopo: richiede poco tempo, nessuno strumento e può essere eseguito ovunque.
Un allenamento HIIT consiste in brevi raffiche di esercizio alla massima intensità possibile, alternate a periodi di recupero breve. Questo approccio ha un impatto metabolico e ormonale potentissimo. In soli 20 minuti, un circuito HIIT può:
- Bruciare più calorie: Diversi studi dimostrano che 20 minuti di HIIT bruciano più calorie rispetto a un esercizio a intensità moderata della stessa durata, con un effetto che perdura per ore dopo l’allenamento (effetto EPOC).
- Rilasciare endorfine: L’intensità dello sforzo stimola un massiccio rilascio di endorfine, i “neurotrasmettitori del benessere”, che hanno un effetto analgesico e migliorano l’umore, agendo come un vero e proprio antidepressivo naturale.
- Regolare il cortisolo: Se praticato regolarmente e non in modo eccessivo, l’HIIT aiuta a regolare la risposta del corpo allo stress, migliorando la sensibilità al cortisolo e riducendone i livelli cronici.
Questo tipo di allenamento è ideale da inserire in pausa pranzo o a fine giornata per “lavare via” lo stress accumulato, creando una netta separazione tra lavoro e vita privata. È un atto di decompressione fisiologica attiva che resetta mente e corpo.
Checklist: il tuo circuito HIIT da 20 minuti in pausa pranzo
- Imposta il timer: Prepara un timer a intervalli (ci sono molte app gratuite) con 45 secondi di lavoro e 15 secondi di pausa. Se sei all’inizio, parti con 30/30.
- Esegui il circuito: Completa la sequenza di esercizi (Burpees, Mountain Climbers, etc.) uno dopo l’altro, rispettando i tempi di lavoro e pausa. L’obiettivo è mantenere un’intensità percepita di 8-9 su 10 durante i 45 secondi di sforzo.
- Primo esercizio – Burpees: Dalla posizione eretta, piegati e appoggia le mani a terra. Con un saltello, porta i piedi indietro in posizione di plank. Con un altro saltello, riporta i piedi vicino alle mani e salta verso l’alto.
- Secondo esercizio – Mountain Climbers: In posizione di plank a braccia tese, porta rapidamente e in modo alternato il ginocchio destro e sinistro verso il petto, come se stessi correndo sul posto.
- Recupera e ripeti: Al termine del primo giro di tutti gli esercizi, prenditi 2 minuti di recupero completo. Dopodiché, ripeti l’intero circuito una seconda volta per un totale di circa 20 minuti.
Se riconosci in te i segnali e le dinamiche descritte in questo articolo, non ignorarli. Considerali come dati preziosi che il tuo corpo ti sta fornendo. Il prossimo passo non è “resistere di più”, ma affrontare la situazione con il supporto di un professionista. Richiedere una consulenza psicologica è il primo, fondamentale atto di auto-cura e la strategia più efficace per riprendere il controllo del tuo benessere, prima che sia il burnout a prendere il controllo di te.
Domande frequenti su stress da lavoro e burnout
Come verificare le credenziali di uno psicologo?
Consultare l’Ordine Nazionale degli Psicologi online inserendo nome e cognome del professionista per verificare l’iscrizione all’albo.
Quando ricorrere al Servizio Sanitario Nazionale?
Per disturbi d’ansia diagnosticabili e burnout clinicamente significativo, con possibilità di accedere al Bonus Psicologo quando attivo.
Quali costi considerare?
Uno psicologo ha un costo che varia generalmente tra 50€ e 100€ a seduta, e le spese sono detraibili come spese sanitarie. Un business coach ha tariffe tra 80€ e 200€ a sessione, non detraibili.