Pubblicato il Marzo 15, 2024

La performance degli investimenti ESG non è una questione di morale, ma di matematica finanziaria: la loro resilienza è una conseguenza diretta di un’architettura di portafoglio strutturalmente più difensiva.

  • I portafogli ESG tendono a sovrappesare settori resilienti (tech, healthcare) e a gestire meglio i rischi non finanziari, riducendo la volatilità nelle crisi.
  • È possibile costruire un portafoglio ESG performante con capitali ridotti, ma richiede una selezione attiva basata non solo sul rating, ma sull’impatto reale (Art. 9 vs Art. 8).

Raccomandazione: Smettere di considerare i fondi ESG come un’unica categoria. Imparare a leggere i prospetti informativi per distinguere i fondi a impatto reale da quelli che praticano un semplice “screening” è il vero fattore di successo.

L’idea di investire in modo responsabile attrae un numero crescente di risparmiatori italiani. La domanda, però, rimane sempre la stessa: per finanziare un futuro più sostenibile, devo per forza sacrificare i miei rendimenti? Molti temono che l’etica abbia un costo, specialmente in un mercato volatile dove ogni punto percentuale di performance conta. Si sente spesso parlare dei benefici degli investimenti ESG (Ambientali, Sociali e di Governance), ma queste discussioni restano spesso in superficie, limitandosi a definizioni generiche o a promesse di un “mondo migliore”.

Il risultato è una paralisi decisionale. Da un lato, il desiderio di allineare i propri risparmi ai propri valori; dall’altro, la paura concreta di ottenere performance inferiori rispetto a un portafoglio tradizionale. Ma se il vero vantaggio dei fondi ESG non fosse di natura etica, ma puramente strategica? E se la loro capacità di resistere meglio alle crisi non fosse un caso, ma la conseguenza logica di come sono costruiti?

Questo articolo supera l’approccio convenzionale. Invece di ripetere perché l’investimento etico è “giusto”, dimostreremo con dati e analisi concrete perché può essere anche economicamente più intelligente. Analizzeremo la resilienza strutturale dei portafogli ESG, ovvero come la loro composizione intrinseca li renda più difensivi. Forniremo una metodologia chiara per costruire un portafoglio di ETF responsabili anche con un capitale limitato e, soprattutto, daremo gli strumenti per diventare un investitore consapevole, in grado di distinguere i fondi ad alto impatto da quelli che si limitano a un’operazione di facciata.

In questa analisi dettagliata, esamineremo le ragioni oggettive della performance degli investimenti sostenibili. Attraverso dati, confronti e strategie pratiche, avrai tutti gli elementi per prendere decisioni informate, trasformando l’investimento etico da un atto di fede a una scelta finanziaria calcolata e consapevole.

Perché i portafogli ESG hanno perso meno valore durante le ultime crisi di mercato?

La resilienza dei portafogli ESG durante le fasi di turbolenza del mercato non è una coincidenza, ma il risultato di una precisa architettura di investimento. Durante il crollo dei mercati legato alla pandemia di Covid-19, i fondi sostenibili hanno dimostrato una notevole capacità di contenere le perdite. Un’analisi approfondita ha rivelato che, in media, un portafoglio ESG globale ha registrato perdite inferiori di quasi il 30% rispetto ai fondi tradizionali. Questa performance non deriva da un “bonus etico”, ma da fattori strutturali misurabili.

La ragione principale di questa sovraperformance risiede nella selezione settoriale. I criteri ESG portano naturalmente a escludere o sottopesare settori tradizionalmente più volatili e ciclici, come l’energia fossile, le materie prime e i trasporti pesanti, che sono stati tra i più colpiti durante le recenti crisi. Al contrario, questi fondi tendono a favorire aziende in settori che hanno dimostrato maggiore stabilità e potenziale di crescita.

Studio di caso: La sovrappesatura difensiva durante la crisi Covid-19

Un’analisi dei portafogli ESG durante la pandemia ha evidenziato una chiara strategia difensiva. Secondo i dati pubblicati da Il Sole 24 Ore, i fondi sostenibili erano tipicamente sovrappesati su settori come l’healthcare e la tecnologia. Queste aree non solo hanno resistito meglio allo shock economico, ma in molti casi hanno prosperato grazie all’accelerazione della digitalizzazione e alla crescente attenzione alla salute. Contemporaneamente, erano sottopesati sui settori più vulnerabili, creando un “cuscinetto” naturale che ha attutito il crollo iniziale e favorito una ripresa più rapida.

Confronto grafico della volatilità tra indici ESG e tradizionali durante le crisi di mercato

Come evidenziato dal grafico, la minore volatilità non è un evento sporadico. Le aziende con alti punteggi ESG dimostrano spesso una migliore gestione del rischio, non solo finanziario ma anche operativo, legale e reputazionale. Questa governance più attenta si traduce in una minore probabilità di incorrere in scandali, multe o incidenti ambientali che possono distruggere valore per gli azionisti. Pertanto, la resilienza non è un’anomalia, ma una caratteristica intrinseca di un portafoglio costruito per essere robusto di fronte all’incertezza.

Come costruire un portafoglio di ETF “Socialmente Responsabili” con meno di 5.000 €?

Contrariamente alla credenza comune, l’investimento responsabile non è un lusso riservato ai grandi patrimoni. Grazie alla diffusione degli ETF (Exchange Traded Funds), è possibile costruire un portafoglio ESG globale, diversificato e a basso costo anche con un capitale iniziale inferiore a 5.000 €. La chiave non è acquistare casualmente prodotti con l’etichetta “green”, ma seguire una metodologia di selezione rigorosa. L’obiettivo è identificare strumenti che non solo applicano filtri di esclusione (es. armi, tabacco), ma che investono attivamente nelle aziende leader del proprio settore dal punto di vista della sostenibilità.

La performance storica dimostra che questo approccio selettivo non penalizza i rendimenti, anzi. Un confronto diretto tra un indice globale tradizionale e la sua controparte “Socially Responsible Investing” (SRI) offre una prova eloquente. Mentre un investimento sull’indice globale ha generato ottimi ritorni, la versione SRI, che seleziona le aziende migliori per parametri ESG, ha fatto ancora meglio.

Questo dato, tratto da un’analisi di Credem, mostra come la selezione basata su criteri di responsabilità sociale possa tradursi in un vantaggio competitivo tangibile. Di seguito, il confronto dei rendimenti a 5 anni tra l’indice MSCI World e la sua variante SRI.

Confronto rendimenti MSCI World vs MSCI World SRI
Indice Rendimento 5 anni Caratteristiche
MSCI World 62,46% Indice tradizionale globale
MSCI World SRI 73,43% Indice ESG globale

Per replicare questo successo nel proprio portafoglio, è necessario un processo di due diligence attivo. Non basta fidarsi del nome dell’ETF; bisogna analizzarne la metodologia. Un buon punto di partenza è verificare i criteri di selezione e di esclusione, assicurandosi che siano allineati con i propri valori e obiettivi di impatto.

Piano d’azione: selezionare ETF SRI ad alto potenziale

  1. Punti di contatto: Identifica le piattaforme di brokeraggio che offrono un’ampia selezione di ETF ESG/SRI e strumenti di screening (es. JustETF, Morningstar).
  2. Collecte: Seleziona ETF che dichiarano di includere solo il 33% delle aziende con il rating ESG più alto per settore e che escludono quelle ad alta intensità di emissioni di carbonio.
  3. Coerenza: Verifica la politica di esclusione. Assicurati che l’ETF escluda esplicitamente settori controversi come armi, tabacco, gioco d’azzardo, carbone termico e aziende che violano i principi del UN Global Compact.
  4. Memorabilità/emozione: Confronta i TER (Total Expense Ratio). Un buon ETF SRI dovrebbe avere un costo di gestione competitivo, solitamente inferiore allo 0,40% annuo.
  5. Plan d’intégration: Inizia con un ETF “core” globale (es. basato su MSCI World SRI) per l’80% del capitale e valuta di aggiungere un ETF tematico “satellite” (es. acqua, economia circolare) per il restante 20% per aumentare l’impatto specifico.

Fondi “Verde Scuro” (Art. 9) vs “Verde Chiaro” (Art. 8): quale impatta realmente sull’ambiente?

Nel mondo degli investimenti sostenibili, non tutti i fondi “verdi” sono uguali. La normativa europea SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation) ha introdotto una classificazione per aiutare gli investitori a fare chiarezza, ma è fondamentale capirne le implicazioni pratiche. I fondi sono suddivisi principalmente in due categorie: Articolo 8 (“verde chiaro”) e Articolo 9 (“verde scuro”).

I fondi Articolo 8 promuovono caratteristiche ambientali e/o sociali. In pratica, integrano i criteri ESG nel loro processo di investimento, ma non hanno la sostenibilità come obiettivo primario e vincolante. Possono, ad esempio, escludere i settori peggiori e preferire le aziende “best-in-class”, ma il loro scopo finale rimane il rendimento finanziario. I fondi Articolo 9, invece, hanno un obiettivo di investimento sostenibile esplicito e misurabile. Investono in aziende le cui attività contribuiscono direttamente a un traguardo ambientale (es. riduzione delle emissioni) o sociale. L’impatto, in questo caso, è al centro della strategia. La scelta tra i due dipende dall’obiettivo dell’investitore: l’Art. 8 è un approccio di “riduzione del danno”, mentre l’Art. 9 è una strategia di “finanziamento della soluzione”.

Questa distinzione ha implicazioni dirette sulla composizione del portafoglio. I fondi Art. 9, per loro natura, tendono ad avere un profilo più aggressivo e concentrato. Un’analisi del settore mostra che un portafoglio medio di fondi Articolo 9 in Italia è composto per circa il 68% da strumenti azionari, a dimostrazione che la ricerca di un impatto concreto passa principalmente attraverso l’investimento in capitale di rischio di aziende innovative. Questa è una visione condivisa dagli esperti del settore, che vedono la transizione come un’opportunità irrinunciabile.

Chi resterà indietro con nostalgie di passato perderà la sfida competitiva e anche quella dei rendimenti in borsa.

– Leonardo Becchetti, presidente del Comitato etico di Etica Sgr

Per l’investitore che cerca un impatto tangibile, i fondi Art. 9 rappresentano la scelta più coerente. Tuttavia, è importante essere consapevoli che questa focalizzazione può comportare una maggiore volatilità rispetto a un fondo Art. 8, più diversificato e simile a un indice tradizionale. La decisione finale deve quindi bilanciare il desiderio di impatto con la propria tolleranza al rischio.

L’errore di concentrare tutto il capitale sulle energie rinnovabili ignorando la diversificazione

L’entusiasmo per la transizione energetica porta molti investitori a un errore comune: concentrare una parte eccessiva del proprio portafoglio sostenibile su un unico tema, come le energie rinnovabili (clean energy). Sebbene questo settore offra un potenziale di crescita enorme e un impatto ambientale evidente, è anche caratterizzato da una volatilità estremamente elevata. Puntare tutto su un singolo cavallo, anche se promettente, è una scommessa rischiosa che contraddice il principio fondamentale della diversificazione.

I dati parlano chiaro. I fondi tematici focalizzati sulla “Clean Energy” possono offrire performance spettacolari, ma a un prezzo. Secondo un’analisi di FIDA, nel 2023 il settore ha mostrato rendimenti impressionanti, ma anche una volatilità e un drawdown (perdita massima da un picco) significativi. Un fondo medio sul tema ha registrato una volatilità del 23% e un drawdown massimo del 39%. Questi numeri indicano un profilo di rischio-rendimento tipico di un investimento speculativo, non adatto a costituire il nucleo di un portafoglio a lungo termine.

Un approccio più prudente e strategico consiste nell’utilizzare questi ETF tematici come “satelliti” di un portafoglio ben diversificato. La parte “core” dovrebbe essere costituita da strumenti ESG globali (come gli ETF SRI visti in precedenza), mentre i tematici possono essere aggiunti in percentuali minori (5-10%) per aumentare l’esposizione a trend specifici. Inoltre, la diversificazione sostenibile non si limita alle azioni. L’inclusione di asset class diverse, come le obbligazioni verdi, è fondamentale per bilanciare il rischio.

Studio di caso: La strategia di diversificazione di Moneyfarm con i Green Bond

Per mitigare la volatilità dei mercati azionari, gestori patrimoniali come Moneyfarm hanno integrato attivamente componenti obbligazionarie sostenibili nei loro portafogli. Nel corso del 2023, hanno inserito strumenti che investono in Green Bond e obbligazioni emesse dalle Banche per lo Sviluppo Economico, arrivando a rappresentare in alcuni casi fino al 10% del portafoglio. Questa strategia permette di finanziare progetti ambientali specifici (tipico dei Green Bond) mantenendo un profilo di rischio più contenuto rispetto all’azionario, stabilizzando così i rendimenti complessivi del portafoglio ESG.

In sintesi, investire in modo sostenibile non significa abbandonare le regole d’oro della finanza. La diversificazione tra settori, aree geografiche e asset class (azioni, obbligazioni) rimane il pilastro per costruire un portafoglio robusto, capace di generare rendimenti nel lungo periodo senza subire eccessivi scossoni.

Quando ribilanciare il tuo PAC sostenibile per massimizzare l’interesse composto?

Avviare un Piano di Accumulo del Capitale (PAC) su ETF sostenibili è un’ottima strategia, ma per massimizzarne i benefici nel lungo periodo è cruciale un’attività spesso trascurata: il ribilanciamento periodico. Con la crescente popolarità degli investimenti responsabili, testimoniata da una crescita del 30% delle masse investite in portafogli ESG nel solo 2023 secondo i dati di Moneyfarm, sempre più investitori si trovano a dover gestire un portafoglio che, con il tempo, si allontana dalla sua allocazione strategica iniziale.

Il ribilanciamento consiste nel riportare le diverse componenti del portafoglio (azioni, obbligazioni, diversi temi) alle percentuali originarie. Se, ad esempio, la componente azionaria “clean energy” ha performato eccezionalmente bene, il suo peso nel portafoglio aumenterà. Senza un intervento, ci si ritrova involontariamente sovraesposti a un settore volatile, aumentando il rischio complessivo. Ribilanciare significa vendere una parte dei guadagni del settore sovraperformante per acquistare asset che sono rimasti indietro, applicando la regola aurea “compra basso e vendi alto”.

Questo processo non solo controlla il rischio, ma in Italia offre anche un’opportunità di efficienza fiscale. Le plusvalenze realizzate durante il ribilanciamento (tassate al 26%) possono essere compensate con eventuali minusvalenze presenti nel proprio zainetto fiscale. Il momento del ribilanciamento diventa quindi anche un’occasione per una revisione strategica ed etica del portafoglio.

  • Monitoraggio delle deviazioni: La regola più comune è ribilanciare quando una classe di attivo si discosta di oltre il 5% o il 10% dal suo peso target. In alternativa, si può optare per un ribilanciamento a intervalli di tempo fissi (es. trimestrale o annuale). In mercati molto volatili, un controllo trimestrale è più prudente.
  • Revisione etica: Il ribilanciamento è il momento ideale per verificare se le aziende in portafoglio sono state recentemente coinvolte in controversie ESG. Alcuni scandali possono non essere ancora riflessi nel rating ufficiale, ma un investitore attento può decidere di disinvestire preventivamente.
  • Ottimizzazione fiscale: Pianificare il ribilanciamento per sfruttare eventuali minusvalenze in scadenza è una strategia intelligente per ridurre il carico fiscale complessivo e aumentare il rendimento netto.

Un PAC senza ribilanciamento è come una barca senza timone: può andare veloce, ma rischia di perdere la rotta. Una gestione attiva, anche se minima, è ciò che trasforma un buon investimento in un eccellente generatore di interesse composto nel lungo periodo.

ETF “ESG Screened” o ETF “Clean Energy”: quale ha più volatilità e quale impatta davvero?

La scelta di un ETF sostenibile si riduce spesso a un bivio fondamentale: optare per un approccio ampio e diversificato (“ESG Screened”) o per uno focalizzato e ad alto impatto (“Clean Energy”)? Comprendere le profonde differenze tra queste due filosofie è essenziale per allineare l’investimento ai propri obiettivi di rendimento, rischio e impatto reale.

Un ETF “ESG Screened” tipicamente replica un indice di mercato ampio (come l’S&P 500 o l’MSCI World) escludendo semplicemente le aziende con i punteggi ESG peggiori o quelle coinvolte in settori controversi. La sua teoria del cambiamento è “non fare danni” e migliorare il sistema dall’interno, premiando le aziende più virtuose di ogni settore. Il suo vantaggio principale è una bassa volatilità e un’ampia diversificazione, che lo rendono ideale come nucleo (“core”) di un portafoglio. L’impatto, tuttavia, è indiretto e diluito.

Un ETF “Clean Energy”, al contrario, è un fondo tematico che investe in un paniere ristretto di aziende la cui attività principale è legata alla produzione e distribuzione di energia pulita. La sua teoria del cambiamento è “finanziare la soluzione” al problema climatico. L’impatto è diretto e misurabile. Questa concentrazione, però, si paga in termini di alta volatilità. Come abbiamo visto, questi strumenti possono subire forti oscillazioni e sono più adatti a un ruolo “satellite” e speculativo all’interno di un portafoglio. La scelta tra i due non è una questione di “giusto” o “sbagliato”, ma di coerenza strategica, come riassume la tabella seguente.

Confronto ETF ESG Screened vs Clean Energy
Caratteristica ETF ESG Screened ETF Clean Energy
Impatto ‘Non fare danni’ ‘Finanziare la soluzione’
Volatilità Bassa-Media Alta (23-39%)
Ideale per Core del portafoglio Satellite speculativo
Teoria del cambiamento Migliorare il sistema dall’interno Creare un sistema nuovo

Un portafoglio ESG robusto spesso li combina entrambi: una solida base (70-80%) costruita su ETF “ESG Screened” globali per garantire stabilità e diversificazione, e una porzione più piccola (20-30%) allocata su ETF tematici come “Clean Energy”, “Water” o “Circular Economy” per puntare a rendimenti più elevati e generare un impatto mirato. Questa architettura permette di bilanciare la ricerca di performance con un controllo rigoroso del rischio.

Perché le banche italiane rifiutano prestiti alle aziende con basso rating ESG?

Il rating ESG sta rapidamente diventando un fattore cruciale non solo per gli investitori, ma anche per il sistema bancario. Le banche italiane, come i loro omologhi europei, stanno integrando sempre più le valutazioni di sostenibilità nei loro modelli di rischio di credito. Un’azienda con un basso rating ESG non è più vista solo come “eticamente discutibile”, ma come un debitore intrinsecamente più rischioso. Di conseguenza, può incontrare maggiori difficoltà nell’ottenere prestiti o vedersi applicare tassi di interesse più elevati.

La logica è semplice: un basso rating ESG segnala potenziali rischi futuri. Un’azienda con una cattiva governance (la “G” di ESG) è più esposta a scandali e frodi. Una con un impatto ambientale negativo (la “E”) potrebbe dover affrontare costi ingenti per adeguarsi a normative più stringenti o subire danni reputazionali. Una che trascura gli aspetti sociali (la “S”) rischia scioperi, cause legali e difficoltà nell’attrarre talenti. Tutti questi fattori possono compromettere la sua capacità di ripagare un debito. L’analisi ESMA ha evidenziato come i fondi ESG abbiano sovraperformato gli omologhi non-ESG, un vantaggio che si manifesta soprattutto durante periodi di stress, confermando la loro minore percezione di rischio.

Tuttavia, il quadro non è sempre così lineare, specialmente per quanto riguarda il criterio “Sociale”. La recente invasione dell’Ucraina ha sollevato un dibattito complesso sul ruolo dell’industria della difesa. Se da un lato la produzione di armi è tradizionalmente esclusa dai portafogli etici, dall’altro la difesa della democrazia e della sovranità nazionale è considerata un bene sociale. Questa ambiguità ha portato a un cambiamento di rotta significativo. In Italia, le società di gestione sono passate dall’investire 500 milioni nel 2021 a pianificare investimenti per un miliardo e mezzo nel 2025 nel settore della difesa, con alcuni che ora lo etichettano come “investimento socialmente responsabile”.

Questo esempio dimostra che l’analisi ESG non è una scienza esatta. Mentre i rischi legati a una cattiva governance o a un impatto ambientale negativo sono chiari e spingono le banche a essere più caute, la valutazione dei fattori sociali può essere soggetta a interpretazioni che evolvono con il contesto geopolitico. Per un’azienda, dimostrare un solido profilo ESG sta diventando una condizione necessaria per accedere al credito a condizioni vantaggiose.

Punti Chiave da Ricordare

  • La resilienza dei fondi ESG non è magia, ma il risultato di una minore esposizione a settori volatili (energia, materie prime) e una maggiore esposizione a settori difensivi (tech, healthcare).
  • La scelta di un fondo deve basarsi sull’impatto desiderato: i fondi Art. 8 (“verde chiaro”) promuovono buone pratiche, mentre i fondi Art. 9 (“verde scuro”) hanno obiettivi di sostenibilità misurabili e vincolanti.
  • La diversificazione è fondamentale: concentrarsi solo su temi di tendenza come le energie rinnovabili espone a una volatilità molto alta. Un portafoglio robusto bilancia ETF ampi con ETF tematici.

Investire green senza farsi ingannare: come leggere il prospetto informativo di un fondo ESG?

Il rischio più grande per un investitore responsabile è il greenwashing, ovvero la pratica di commercializzare un prodotto finanziario come “sostenibile” quando in realtà non lo è. La stessa Commissione Europea ha ammesso in una proposta di modifica alla SFDR che “l’etichettatura per i fondi causava confusione tra gli investitori e aumentava il rischio di greenwashing e di vendita scorretta”. Per difendersi, l’unica arma è la conoscenza: imparare a leggere i documenti ufficiali di un fondo.

Ogni ETF o fondo comune è accompagnato da un documento chiave chiamato KIID (Key Investor Information Document) e da un Prospetto informativo più dettagliato. Ignorare questi documenti e fidarsi solo del nome commerciale del fondo è l’errore più grave. Ecco cosa cercare attivamente per una due diligence efficace:

  1. Classificazione SFDR: Il primo controllo è verificare se il fondo è classificato come Articolo 6 (nessun obiettivo di sostenibilità), Articolo 8 (“verde chiaro”) o Articolo 9 (“verde scuro”). Questa informazione deve essere chiaramente indicata nel KIID. Se un fondo si promuove come “green” ma è classificato Art. 6, è una bandiera rossa immediata.
  2. Strategia di investimento sostenibile: La sezione “Obiettivi e politica di investimento” del KIID e del Prospetto deve descrivere *come* il fondo persegue i suoi obiettivi ESG. Cercate parole chiave precise. Applica solo “esclusioni” (approccio debole)? O utilizza un approccio “best-in-class” (selezionando i migliori di ogni settore), “tematico” (focalizzandosi su soluzioni specifiche) o di “impact investing” (con l’intenzione di generare un impatto misurabile)? Più la descrizione è vaga, più alto è il rischio di greenwashing.
  3. Indice di riferimento (Benchmark): Se il fondo dichiara di avere un obiettivo di sostenibilità, deve indicare un indice di riferimento coerente (es. un indice “SRI” o “ESG Leaders”). Se il benchmark è un indice tradizionale (es. S&P 500 standard), il fondo sta probabilmente solo applicando filtri minimi senza un reale impegno.
  4. Politica di esclusione dettagliata: Un fondo serio non si limita a dire che “esclude settori controversi”. Il Prospetto deve elencare nero su bianco quali settori sono esclusi (es. carbone termico, tabacco, armi controverse) e con quali soglie di fatturato (es. escluse aziende che generano più del 5% dei ricavi dal carbone).

L’investitore responsabile non è un credulone, ma un detective. Dedicare trenta minuti all’analisi di questi documenti prima di investire può fare la differenza tra finanziare un reale cambiamento e cadere in una trappola di marketing. È un piccolo sforzo che garantisce coerenza tra i propri valori e i propri investimenti.

Ora che disponi degli strumenti analitici per valutare rendimenti e rischi, il prossimo passo è applicare questa metodologia al tuo capitale. Inizia analizzando i prospetti dei fondi che ti interessano per costruire un portafoglio che sia non solo etico, ma strategicamente performante e allineato ai tuoi obiettivi finanziari a lungo termine.

Domande frequenti sull’investimento in fondi etici

Cosa distingue un fondo Art. 9 da uno Art. 8?

I fondi Art. 9 perseguono un obiettivo esplicito e misurabile di sostenibilità, investendo in attività che contribuiscono direttamente a un traguardo ambientale o sociale. I fondi Art. 8, invece, si limitano a promuovere caratteristiche ambientali e/o sociali, integrando i criteri ESG ma senza avere la sostenibilità come obiettivo primario e vincolante.

Quale linea di fondi offre Etica SGR?

Etica SGR offre la linea “Valori Responsabili”, che si concentra su fondi etici che investono in un universo selezionato di aziende e Paesi che adottano pratiche virtuose dal punto di vista ambientale, sociale e di buona governance (ESG), con un processo di selezione rigoroso.

Come vengono valutate le aziende?

Le aziende nei fondi etici sono valutate attraverso un doppio processo. All’analisi finanziaria tradizionale, che valuta la solidità economica e le prospettive di crescita, si affianca un’approfondita analisi ESG, che misura le performance dell’azienda in campo ambientale, sociale e di governance per identificare i rischi e le opportunità non finanziarie.

Scritto da Elena Rossi, Consulente Finanziaria Indipendente (CFA) iscritta all'Albo OCF, esperta in investimenti ESG e pianificazione patrimoniale con 12 anni di attività. Specializzata in educazione finanziaria e gestione del risparmio per famiglie e investitori privati.